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26 marzo 1924: cento anni fa l’alluvione che provocò distruzione e morte tra Vettica di Amalfi e Praiano

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di EMILIANO AMATO

Il 26 marzo del 1924 un violento nubifragio si abbatté sulla Costiera Amalfitana. Ad Amalfi, conseguentemente a un drammatico evento franoso, 61 abitanti della frazione di Vettica Minore persero la vita. Il più anziano delle vittime aveva 82 anni, mentre il più giovane era venuto alla luce da appena dieci giorni. A Praiano la spiaggetta della Praia fu sepolta da Frango e detriti. Quella notte d’inferno l’abitato venne totalmente dai bombardamenti d’acqua che causarono diversi crolli della strada principale. 31 in tutto le case distrutte.

Dopo l’alluvione del 1954 a Maiori e del 1910 a Cetara la tragedia più grave avvenuta in Costiera Amalfitana.

I primi soccorsi giunsero il giorno successivo via mare attraverso le navi della Regia Marina.

Il 28 marzo anche Re Vittorio Emanuele III giunse sul luogo del disastro. Commosso, sotto uno scosciante acquazzone, si recò presso il Seminario dove erano alloggiati i superstiti evacuati. Nei giorni seguenti il cadavere di una donna fu trovato nello specchio d’acqua antistante la scogliera.

Nelle lettere pastorali di monsignor Ercolano Marini si legge: «il turbine, geloso della divina bellezza di questa plaga incantata, è passato, infuriando sulla nostra città e sul versante di occidente, deturpando le vigne, diroccando le case, decimando le vite… La grave sventura mi ha gettato in un mare di angoscia. Tutti gli strappi, tutti i gemiti, tutto le lacrime si sono ripercosse nel mio cuore».

In quella circostanza, stando alla testimonianza del Commissario del Governo del tempo, fu «la nobile figura dell’amato Pastore ad accorrere con zelo e coraggio per rincuorare con l’Opera e la parola i sui figli doloranti»: da Amalfi, che «aveva visto tuffarsi nel suo bel mare la parte più affascinante del giardino dell’Hotel Cappuccini», a Positano dove «non c’era più la parte più bella con i suoi agrumeti sempre in gioia di verde, con i suoi pacifici olivi e con i suoi noci secolari dalle braccia tese nel terso e abbagliante azzurro del suo cielo di perle». Da Vettica Minore diventata «come un campo di messe matura, su cui è passata la falce del mietitore» a Vettica Maggiore, che «è a lutto e piange» per poi finire a Praia, diventata «una tomba»: «in quella vibrante arteria di pescatori ora si va solo per versare lacrime, per inginocchiarsi e per singhiozzare una prece sopra i cadaveri, che si dissotterrano». E lì, su quelle rovine Egli «rimane impietrito dal dolore». Non erano, perciò, parole di adulazione quelle a lui scritte dal Ministro della Marina: «Con intima soddisfazione ho ammirato l’Opera paterna e di umana pietà, che V.E. ha spiegato nella luttuosa circostanza a pro dei colpiti, la cui sventura è stata moralmente e materialmente confortata dall’opera alacre e dalla pietosa parola dell’instancabile Pastore» (Thaon de Revel).

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redazione
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