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Echi di transumanza in Costa d’Amalfi in una testimonianza del 1684

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di Salvatore Amato

L’eco della ‘migrazione’ annuale di greggi tra i territori di Agerola e Maiori era comunemente diffusa nei secoli dell’età moderna, al punto che alcune tracce del fenomeno possono ritrovarsi anche nelle fonti notarili.

In una declaratio del 10 aprile 1684, raccolta dal notaio napoletano Vincenzo Russo, dimorante a Praiano, gli abitanti di Maiori Angelo Scannapieco, caporale della regia torre d’Acquaruolo, il figlio Francesco e il cognato Matteo Ferrigno asserirono di essere a conoscenza che nella Terra di Agerola «si facevano castagne di buona qualità e di buon prezzo».

La notizia era stata appresa dal pastore di Agerola Vincenzo di Fusco, con cui avevano frequente consuetudine, a causa della sua permanenza a Maiori, impegnato nel pascolo dei suoi “animali crapili”.

Fiutato l’affare, disposero l’acquisto di dodici tomola di castagne verdi, che il di Fusco, ritornato intanto ad Agerola, mise a seccare presso la sua abitazione «sopra la grata» nell’ottobre del 1683.

Il 26 dicembre successivo, «giorno del glorioso Protomartire Santo Stefano, che fu di Domenica», dopo pranzo, dalla città di Maiori salparono Vincenzo di Fusco, Angelo e Francesco Scannapieco e Matteo Ferrigno «con una barchetta per mare e vennero nella marina di questa terra di Prayano detta la Praya», consegnando al notaio Michele Rispoli, «gabelloto di detta terra», remi, tre tomoli di cerze «ch’esso Vincenzo portava per l’animali porcili di sua casa e tutt’ordegni di detta barchetta».

Da Praiano la compagnia si recò ad Agerola, percorrendo verosimilmente la stessa strada battuta nel dicembre 1604 dal soldato spagnolo Manuel de Castro, dopo sei giorni di permanenza a Praiano. Raggiunta la casa del di Fusco ad ‘hore venti quattro’ (le cinque del pomeriggio), per il ritiro delle castagne, l’incedere della notte suggerì al di Fusco di apparecchiare ‘per magnare’.

Mentre erano a tavola raggiunse l’abitazione anche Vito di Fusco, fratello di Vincenzo, che si unì ai commensali; terminata la cena, maioresi e agerolesi «se posero a sonare e cantare, e questo fu verso mezza hora di notte di detta domenica li ventisei di decembre de dett’anno 1683».

redazione
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