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Il Tricolore: com’è nata la bandiera della Repubblica Italiana

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Nel giorno in cui ricorre il 227esimo anniversario del Tricolore, simbolo dell’Italia che celebra la Giornata Nazionale della Bandiera, pubblichiamo, a beneficio dei lettori del Quotidiano della Costiera, un estratto da “Cerimoniale, la sostanza dietro la forma – La Storia, gli Ideali, la Costituzione e l’organizzazione nei comportamenti delle Istituzioni” di Enrico Passaro, con prefazione di Luciana Lamorgese (edizioni Il Grifone 2022). Tra i temi affrontati dall’ ex capo del cerimoniale della Presidenza del consiglio dei Ministri, naturalmente, quello realitivo alla bandiera, alla sua storia e ai suoi dettagli.

di ENRICO PASSARO

I cittadini italiani, all’indomani del referendum del 2 giugno 1946, si ritrovarono anche con un vessillo cambiato.

«La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni. (…) Sembra banale ma dietro queste poche, semplici, parole è racchiusa la grande storia risorgimentale del nostro Paese che portò all’Unità d’Italia, di cui la bandiera fu il principale elemento di aggregazione». Poche, semplici parole scritte nel 2013 da Paolo Peluffo, all’epoca Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, per far comprendere come il nostro Tricolore abbia accompagnato il lungo, tormentato cammino verso la costituzione di uno stato unitario nello Stivale.

Il tricolore italiano nacque alla fine del Settecento, si concretizzò in una coccarda. Se ne fece uso durante la Repubblica di Genova già nel 1789. Poi studenti bolognesi la indossarono nei primi moti del 1794, ispirandosi agli ideali rivoluzionari provenienti dalla Francia. La costituzione della Repubblica Cispadana nel 1797, primo Stato sovrano nazionale a costituirsi nei fermenti di liberazione dell’epoca, coincise con l’adozione di un tricolore a bande orizzontali. Dall’alto: rosso, bianco e verde; al centro campeggiava un emblema composto da una faretra, trofei di guerra e quattro frecce, che simboleggiavano le province originali, all’interno di una corona di alloro. Fu il primo tricolore, che si suole ricollegare alla bandiera del territorio nazionale. Convenzionalmente questo importante e storico momento è collegato alla data del 7 gennaio 1797 e al nome del giurista e letterato Marco Giuseppe Compagnoni, segretario generale della Repubblica Cispadana. Nella sede municipale di Reggio Emilia, nella sala consiliare oggi ribattezzata Sala del Tricolore, fu promulgato il decreto di adozione del vessillo della nuova repubblica con questa descrizione: «Giuseppe Compagnoni fa mozione […] che si renda universale lo stendardo o bandiera cispadana di tre colori, verde, bianco e rosso e che questi tre colori si usino anche nella coccarda cispadana, la quale debba portarsi da tutti».

La Repubblica Cispadana fu originata dagli ex Ducati di Parma e di Reggio e dalle ex Legazioni pontificie di Bologna e Ferrara appena conquistate da Napoleone Bonaparte, impegnato a sottrarre territori all’influenza austriaca. La nuova inedita repubblica nacque a Reggio Emilia, nella sala dell’Archivio ducale, oggi sede del consiglio comunale della città.

In ricordo di quello storico evento il 7 gennaio si celebra oggi la “Giornata nazionale della bandiera”.

La successiva costituzione della Repubblica Cisalpina, sempre di origine napoleonica e territorialmente più estesa, inglobò la Repubblica Cispadana, vasti territori della Lombardia e della Romagna e parte della Toscana. La capitale fu collocata a Milano e il suo vessillo fu un tricolore a tre bande verticali verde, bianco e rosso, diverso dal nostro attuale Tricolore solo nelle proporzioni, essendo di forma quadrata. Un decreto del 1798 lo definì “bandiera della nazione (…) di tre bande parallele all’asta (…) la prossima all’asta verde, la successiva bianca, la terza rossa”.

Dopo la Restaurazione il tricolore ebbe alterne vicende. Lo ritroviamo nel Regno di Sicilia, nella Repubblica di San Marco e nell’esercito di Carlo Alberto di Savoia dal 1848 al 1849. Giuseppe Mazzini stabilì che “I colori della Giovine Italia sono il rosso, il bianco e il verde. La bandiera della Giovane Italia porta su quei colori scritte da un lato le parole: Libertà, Uguaglianza, Umanità; dall’altro: Unità, Indipendenza”.

Finalmente divenne bandiera del Regno di Sardegna prima e dello Stato italiano dal 1861. Il Tricolore fu bandiera del Regno d’Italia fino al 1946, recando al centro del campo bianco il simbolo di Casa Savoia bordato d’azzurro, talvolta con la corona di Casa Reale,, come sanciva una legge datata 24 dicembre 1925.

Con l’avvento della Repubblica la bandiera, si configurò con le “tre bande verticali di eguali dimensioni”, come fu riportato nell’articolo 12 della Costituzione, senza alcun simbolo centrale.

La sostanza della bandiera italiana è nel suo essere simbolo, nell’essere sempre stata simbolo di un popolo che, con dolore, col sacrificio di tanti giovani e tanto sangue versato, ha lottato per la creazione di una nazione. La sostanza è nella sua storia, nei cambiamenti e le trasformazioni che hanno accompagnato il suo sventolare nei raduni carbonari e rivoluzionari, nelle barricate, nei campi di battaglia e nelle celebrazioni.

ESPOSIZIONE, DECORO E OLTRAGGIO

Parliamo di nuovo della Bandiera e della sua esposizione. La Bandiera è un simbolo fondamentale di una Nazione. Non solo l’Italia col suo Tricolore, ogni Paese si riconosce intorno al proprio vessillo, ogni Paese le dedica attenzione, le assicura dignità, la tutela dai rischi di vilipendio. Com’è noto, c’è una normativa specifica che regola l’esposizione delle bandiere all’esterno e all’interno degli edifici pubblici italiani. Una normativa che, tra l’altro, puntualizza che alle bandiere deve essere assicurato il dovuto decoro. Le bandiere vanno tenute in “buono stato e correttamente dispiegate”. Ma quante bandiere si vedono dai balconi degli edifici pubblici, logore, scolorite, strappate, sporche o male avvolte intorno all’asta! Se il simbolo del Paese si mostra in tali condizioni miserevoli è lo stesso Paese a presentare la medesima immagine di sé. L’Ufficio del Cerimoniale della Presidenza del Consiglio, dal suo osservatorio limitato, vigila in tal senso o cerca di farlo; vigilano le prefetture, spesso vigilano e denunciano singoli cittadini giustamente sensibili all’argomento. L’attenzione al decoro della bandiera non prevede però sanzione in caso contrario.

Diverso dal concetto di “decoro” è quello di “oltraggio” o di “vilipendio” nei confronti della bandiera. E su questo bisogna si stia un po’ attenti. Il codice penale sancisce severe sanzioni, non solo per chi offende la bandiera nazionale, ma anche per i vessilli dei Paesi esteri. L’articolo 292 del codice penale stabilisce che: «Chiunque vilipende con espressioni ingiuriose la bandiera nazionale o un altro emblema dello Stato è punito con la multa da euro 1.000 a euro 5.000. La pena è aumentata da euro 5.000 a euro 10.000 nel caso in cui il medesimo fatto sia commesso in occasione di una pubblica ricorrenza o di una cerimonia ufficiale. Chiunque pubblicamente e intenzionalmente distrugge, disperde, deteriora, rende inservibile o imbratta la bandiera nazionale o un altro emblema dello Stato è punito con la reclusione fino a due anni».

Il successivo articolo 299 sancisce: «Chiunque nel territorio dello Stato vilipende, con espressioni ingiuriose, in luogo pubblico o aperto o esposto al pubblico, la bandiera ufficiale o un altro emblema di uno Stato estero, usati in conformità del diritto interno dello Stato italiano, è punito con l’ammenda da euro 100 a euro 1.000».

Questo per quanto riguarda il rispetto che si deve alla bandiera o anche a tutte le bandiere che rappresentano gli Stati. Ma chi si occupa di cerimoniale sa quanta attenzione viene posta nei preparativi di un evento internazionale bilaterale o multilaterale all’utilizzo dei vessilli dei Paesi partecipanti. Parliamo della presenza della bandiera di guerra nello schieramento militare di un Paese organizzatore che rende gli onori all’ospite. C’è l’entrata e l’uscita solenne dallo schieramento; poi il doveroso saluto alla bandiera, con una sosta ed un inchino, che viene ricambiato con l’inclinazione dell’asta se l’ospite è un Capo di Stato. C’è l’esposizione delle bandiere nelle sale dei colloqui o nella photo opportunity, o all’esterno dell’edificio dove avviene l’incontro, ponendo scrupolosa attenzione all’ordine di sistemazione.

La maggior parte dei cittadini lo ignora, ma a seconda della modalità della loro esposizione le bandiere ci parlano, ci fanno presente qual è il loro status, ci rappresentano il rango protocollare di un esponente delle istituzioni, ci raccontano cosa sta accadendo all’interno di un palazzo istituzionale, esprimono manifestazioni di festa, di celebrazione o di cordoglio legate al sentimento condiviso nazionale o locale.

C’è un linguaggio specifico delle bandiere ed è espressione pura dell’attività di cerimoniale, uno straordinario esercizio di forma. Un non addetto ai lavori potrebbe avere difficoltà a comprendere tanta attenzione. Quando si può esporre una bandiera di un Paese straniero all’esterno e all’interno di un edificio pubblico? In che ordine si dispongono le bandiere? Se si tratta di un bilaterale è diversa la disposizione fra Paesi dell’Unione Europea? E in un multilaterale? E fra i multilaterali è diversa la sistemazione se si tratta di un G7, di un G20 o di un’Assemblea Generale delle Nazioni Unite? Tante domande a cui un cerimonialista sa rispondere e certamente si intende con i colleghi di altri Paesi, perché il linguaggio della bandiera non è esclusivamente nazionale, ma condiviso a livello internazionale. Poi qualche nazione ha le sue particolarità, come la Francia, che espone a destra per chi guarda il vessillo nazionale rispetto alla bandiera europea. Ma in linea di massima a tutte le latitudini ci si intende sulle forme dell’esposizione. Perché quelle forme sono espressione della sostanza viva rappresentata da un simbolo fondamentale che costituisce l’identità di intere comunità nazionali e a volte sovranazionali.

redazione
http://www.quotidianocostiera.it
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