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La resistenza delle ultime monache di Ravello: non lasciare il monastero per obbedienza a Papa Francesco

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Resistono per l’obbedienza a Papa Francesco e per non vedere estinto quel centro di spiritualità che racconta sette lunghi secoli di vita claustrale. Sono le ultime tre suore rimaste a guardia del monastero di Santa Chiara a Ravello, ritenuto tra le più antiche fondazioni francescane femminili in assoluto. Sempre meno giovani abbracciano la vita religiosa, così conventi e monasteri si svuotano fino a chiudere i battenti. La crisi delle vocazioni ha ridotto ai minimi termini anche l’istituzione documentata a partire dalla seconda metà del XIII secolo che fino a sessant’anni fa contava ben 42 consorelle.

Nel 2016 il Santo Padre aveva invitato i monasteri di suore contemplative a «non lasciarsi prendere dalla tentazione del numero e della efficienza», nella costituzione apostolica «Vultum Dei quaerere» (La ricerca del volto di Dio), scegliendo con cura le vocazioni, evitando di reclutare candidate da altri paesi «con l’unico fine di salvaguardare la sopravvivenza del monastero», rafforzando le federazioni (che possono implicare «lo scambio di monache e la condivisione di beni») e l’autonomia giuridica (che implica «un numero anche minimo di sorelle, purché la maggior parte non sia di età avanzata» e prevede un «processo di accompagnamento per una rivitalizzazione del monastero, oppure per avviarne la chiusura».

A Ravello però la federazione delle clarisse urbaniste non sembra abbia fatto del tutto nel tentativo di «rivitalizzare» e salvarlo, anzi sembra piuttosto che abbia visto nell’antico monastero una “gallina dalle uova d’oro”. La situazione da delicata che era, sembra oramai irreversibile. Delle consorelle rimaste vi è suor Maria Cristina Fiore, originaria di Sansevero, in provincia di Foggia, che lo scorso 13 gennaio ha compiuto 97 anni, a Ravello ininterrottamente dal 1955. È inferma e di lei si prendono amorevolmente cura suor Angela Maria Punnackal, di nazionalità indiana, e suor Massimiliana Panza, nolana di 46 anni che nella sua vita precedente è stata promettente biologa al Policlinico di Napoli per poi indossare l’abito claustrale dal 2005.

Dopo alterne vicende che hanno visto i superiori tendere a reprimere qualsiasi attività delle monache che avrebbe potuto anche solo potenzialmente rivitalizzare il monastero, il Dicastero per la vita consacrata (l’organismo della Curia romana che decide la vita religiosa del mondo cattolico), sollecitato e in comunione d’intenti con la federazione, ha decretato la soppressione del monastero di Ravello.

Così nel 2021 è stato nominato un commissario pontificio, un francescano del Santuario di Sant’Antonio di Padova, con l’incarico di censire tutto il patrimonio immobiliare dell’istituzione religiosa situato in una delle zone più suggestive della città della musica, tra Villa Cimbrone e la Rondinaia che fu dello scrittore Gore Vidal. Oltre al vastissimo complesso storico monumentale (composto dal corpo centrale con la chiesa, le celle, una foresteria, un grosso rudere e vasti terreni coltivati con vista mare) il monastero detiene, quale frutto di donazioni accolte nei secoli di servizio alla comunità locale, anche la proprietà dell’edificio storico dell’hotel Parsifal e tre locali commerciali in Piazza Fontana Moresca che, insieme, pare rendano non meno di 200mila euro l’anno. Il valore stimato di tutto il patrimonio, mobile e immobile (opere d’arte e fondo librario dell’antica biblioteca compresi) pare si aggiri tra i 50 e i 60 milioni di euro.

La federazione delle clarisse urbaniste sostenuta dal Dicastero vaticano insistono, però, affinché le tre consorelle lascino per sempre il monastero di Ravello alla sua incerta sorte. Già da qualche anno circola con insistenza la voce che alla chiusura possa seguire un investimento speculativo, col complesso destinato a hotel di lusso. Due anni fa lo stesso Comune di Ravello si era opposto alla chiusura del monastero con un deliberato della giunta comunale, mentre dalla società civile era nato un comitato di salvaguardia. Già, perché il tessuto cittadino ravellese storicamente non può non dirsi legato a questo centro di spiritualità e preghiera, esempio antico e autentico della vita monastica francescana, fatta di regole e laboriosità, asilo infantile fino agli anni Sessanta. Nel 1944, presso il monastero si recarono più volte il re Vittorio Emanuele II e la regina Elena, insieme al principe Umberto, che risiedevano a Villa Episcopio, sostenendo la comunità monastica nelle attività educative e lavorative, con la ricostruzione dell’asilo, e favorendo la produzione di corredi e vestiario per i poveri della città.

Le monache superstiti, guidate da Suor Massimiliana, resistono e non vogliono abbandonare il monastero per scongiurare il pericolo dell’estinzione sia perché nel caso di “monastero estinto” le monache non avrebbero più alcuna voce in capitolo per disporre dei beni (che, stando alle norme vigenti, sarebbero assorbiti di diritto dalla federazione), sia perché non è mai stata fornita una chiara motivazione dagli organi superiori.

Assistite nell’ultimo anno da un legale competente in diritto canonico, hanno ritenuto di salvare i beni da possibili mire speculative e dare seguito a una decisione presa in capitolo ancor prima che ci fosse il commissariamento: donare tutto al Papa.

L’articolo 72 del «Cor Orans» recita: «I beni del monastero soppresso, rispettate le volontà dei fondatori e donatori, seguono le monache superstiti e vanno, in proporzione, ai monasteri che le accolgono, salvo altra disposizione della Santa Sede che può disporre, nei singoli casi, la porzione dei beni da attribuire alla carità, alla chiesa particolare entro i cui confini è posto il monastero, alla Federazione e al “Fondo per le monache”».

La scorsa primavera, quindi, le tre monache hanno scritto a Papa Francesco offrendogli in dono tutte le proprietà del monastero per la sua carità. Il 25 giugno dal Vaticano il Sostituto per la Segreteria di Stato veniva incaricato dal Pontefice di comunicare alle monache l’accettazione della donazione. Ma la gioia delle consorelle è durata davvero poco perché, dopo pochissimi giorni, il Dicastero vaticano per i religiosi disponeva il trasferimento, immediato e perentorio, delle tre suore in tre diversi monasteri italiani, col chiaro intento di svuotare, e dunque estinguere il monastero. Finanche l’anziana e inferma suor Maria Cristina avrebbe dovuto (e dovrebbe) lasciare tempestivamente la sede in cui è vissuta per circa settant’anni.

Intanto non si è ancora giunti alla formalizzazione del passaggio di proprietà alla Santa Sede. Eppure c’è uno strano silenzio, che non è certo quello che eleva a Dio e tutto sembra circondato da nebulose trame. Il commissario straordinario, che ha gestito le rendite del monastero nell’ultimo anno e mezzo, in questi ultimi mesi non sembra garantire nemmeno il mantenimento ordinario alle povere sorelle che attualmente sembra vivano con la sola pensione della monaca più anziana. Ad oggi sono ancora nel limbo, ma rischiano di essere allontanate forzosamente da un giorno all’altro. E così suor Massimiliana e le altre resistono per sola obbedienza a Papa Francesco in attesa di un suo intervento decisivo. Nel caso in cui si concretizzasse l’“estinzione”, la stessa donazione non potrebbe perfezionarsi.

UNA STORIA LUNGA OLTRE SETTE SECOLI

La ricca documentazione in pergamena e in registri cartacei conferma l’intimo legame tra Ravello e l’insediamento monastico, legato alla straordinaria esperienza di Chiara d’Assisi, sorto in favore delle donne nobili della Città e documentato a partire dalla seconda metà del secolo XIII. La particolare sensibilità del clero cittadino nei confronti dell’istituzione religiosa è testimoniata sin dal 1297, allorquando il vescovo Giovanni donava alla comunità l’attuale Chiesa di San Nicola a Ponticeto, e confermata successivamente con la richiesta alla Santa Sede del riconoscimento canonico, accordato poi da papa Benedetto XI con la bolla del 2 novembre 1303. Sono in modo particolare le sacre visite e i fascicoli, custoditi nell’Archivio Vescovile di Ravello, a riportare preziose indicazioni sulla vita del monastero, di cui vengono allegate regole e costituzioni, e gli interventi in favore della comunità cittadina, come il sostegno offerto in occasione della realizzazione dell’organo in Cattedrale. Con il passare dei secoli l’istituzione monastica costituì gradualmente

un patrimonio di acquisizioni, donazioni e lasciti testamentari testimoniato da titoli di possesso in pergamena e dalle platee che, a partire dagli inizi del secolo XVII, riordinano possedimenti e censi. Nel corso di una lunga storia non sono certamente mancati i momenti difficili: negli anni immediatamente successivi alla pestilenza del 1656, che aveva determinato una forte contrazione delle famiglie nobili, da cui provenivano le monache, il vescovo di Ravello Bernardino Panicola ottenne dalla Sacra Congregazione per i Vescovi e i Regolari il permesso di accogliere in monastero 14 donne forestiere. Le difficoltà però furono foriere di una nuova vitalità, dapprima grazie all’opera del Venerabile Padre Domenico Girardelli da Muro Lucano e poi, sotto il premuroso impulso del vescovo Giuseppe Maria Perrimezzi, che aveva impegnato nella direzione spirituale delle sorelle clarisse il Padre Bonaventura da Potenza, altro figlio esemplare della provincia francescana conventuale. Non fu meno zelante l’opera degli altri vescovi che ressero la diocesi di Ravello nel corso del secolo XVIII, periodo in cui il complesso monastico fu interessato da lavori di ampliamento, nati dalla necessità di adeguare gli ambienti alle nuove esigenze dei tempi e della stessa comunità costantemente in crescita. A testimonianza dell’intimo legame clariano, nel 1736 la Municipalità, con gli organi amministrativi dell’epoca, deliberò l’elezione di Santa Chiara a patrona “meno” principale, un importante riconoscimento tra i compatroni della Città riconducibile certamente alla presenza dell’antico monastero. Per singolare destino il Monastero non andò soggetto alle leggi della soppressione napoleonica nel 1810. Fu istituita, però, una commissione governativa, che si occupò dell’amministrazione. Alla fine del secolo XIX le storie del Monastero di Santa Chiara e del Municipio di Ravello si congiungono.

IL PASSAGGIO AL COMUNE DI RAVELLO

Con la legge del 7 luglio 1866, l’immobile passò prima al Demanio dello Stato, poi al Fondo per il Culto, e infine nel 1892 al Comune di Ravello. Nel 1920, con l’impegno dell’Arcivescovo Ercolano Marini, le sorelle clarisse ottennero dal Municipio il fitto del fabbricato con il giardino e, successivamente, grazie all’autorevole opera di Padre Giuseppe Palatucci, guardiano del vicino Convento di San Francesco, con il favore delle autorità locali, riscattarono la proprietà dando in permuta l’edificio denominato «Casa Tolla», destinato a sede comunale. Il Monastero, ritornato in pieno possesso delle Clarisse, senza però essere mai stato abbandonato, ottenne il riconoscimento giuridico di Ente Morale con R.D. del 2 settembre 1932. La comunità di Santa Chiara rifiorì di vocazioni arrivando ad attestarsi ad un ragguardevole numero di religiose. Non si tralascia di ricordare che dal febbraio al luglio del 1944, presso il monastero di Santa Chiara, si recarono più volte il re Vittorio Emanuele III e la regina Elena, insieme al principe Umberto, che sostennero le attività educativa e lavorativa della comunità.

L’ASILO INFANTILE

Un contributo indispensabile la Comunità claustrale lo ha offerto anche nella crescita educativa di tante giovani generazioni di Ravellesi, amorevolmente accolte e formate presso l’Asilo infantile, di cui è stata per decenni uno straordinario modello pedagogico Suor Maria Cristina Fiore, decana delle religiose tuttora presenti a Ravello. La graduale e costante decrescita delle vocazioni oggi mette purtroppo in serio pericolo la vita di questa straordinaria esperienza religiosa, con grave perdita per la nostra Collettività. Occorre, pertanto, elevare un forte appello alle autorità religiose preposte, teso a scongiurare tale deprecabile soppressione, inconciliabile con la ricchezza spirituale e culturale di una tradizione religiosa plurisecolare. Anche in ragione dell’intimo legame spirituale con il vicino Convento dei Frati Minori Conventuali, che annovera testimoni di santità e di servizio come i fratelli Antonio e Bonaventura Mansi, il primo cofondatore della «Milizia dell’Immacolata» con San Massimiliano Kolbe, il secondo benemerito difensore della città di Assisi nel secondo conflitto mondiale e artefice della Federazione delle Clarisse, la paventata chiusura appare come una ferita ancor più lacerante che può pregiudicare la stessa sopravvivenza della Comunità francescana. Alla luce di quanto sopra indicato, della specifica vocazione di Ravello, vera e propria finestra sul mondo non dimentica delle proprie radici, appare necessario assicurare la presenza di un congruo numero di suore e privilegiare nuove prospettive di carattere spirituale, come la creazione un Noviziario nazionale o internazionale, certamente favorito dalla bellezza e dalla unicità di questi luoghi patrimonio dell’Umanità. Ancora una volta, come già accaduto in passato, i momenti di difficoltà possono diventare l’occasione per favorire nuovi slanci e per brillare di una nuova luce serafica.

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