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Perché difendo i “cafoni del mare”

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di LUCIA SERINO*

Caro Direttore,
Era prevedibile. Sono arrivati i turisti e nessuno riesce a governarli. L’unico lenimento alla frustrazione dell’ingestibilità del caos è la caccia (fatta per lo più dai residenti) ai “cafoni del mare”, come il tuo giornale sta raccontando. Nell’ultimo week end hai avuto ottimo materiale, dal turista con le chiappe on air, all’altro steso all’ombra di un albero modello Titiro, all’autista di un bus turistico che ha scelto il cunicolo della stiva per battere la canicola. Questione di vocali, come vedi. Voglio dire che, nonostante tutto, c’è un’altra prospettiva da cui guardare le cose che a prima vista ci appaiono respingenti. Anzi. Andando al fondo della questione si può arrivare a comprendere e anche giustificare i comportamenti censurati. Se ci sforziamo di non avere pregiudizi iniziali nella discussione e se siamo d’accordo su un punto: tutte le categorie che abbiamo utilizzato finora, fino all’ultimo anno a.C. (ante Covid), non sono più utilizzabili. E’ il punto di partenza.

  • La risorsa turismo. La premessa è che tutti consideriamo il turismo una risorsa per la Costa d’Amalfi. Giusto? Le risorse sono molte e varie, non tutte uguali per ogni luogo. Per esempio un territorio che conosco molto bene, la Val d’Agri, ha un altro tipo di risorsa, il petrolio. Per la Costa d’Amalfi la risorsa naturale è il turismo. Questa risorsa però non va sfruttata, bensì coltivata. Esattamente come un giacimento minerario, o come un agrumeto. Se invece riteniamo che pecunia non olet ed è preferibile arraffare tutto e subito in una logica di sfruttamento delle risorse, allora ci dobbiamo accontentare di nudità basculanti e degli anglosassoni che bevono le birre di notte e ululano.
  • Coltivare il turismo, cosa significa? Essenzialmente che va fatta una semina sostenibile. E quando parlo di sostenibilità mi riferisco non solo a parametri climatico-ambientali ma anche economici e sociali. Pensare che ci siano turismi di qualità e turismi popular non ha più senso. Ce lo smentiscono proprio le cronache di questi giorni (gli indizi c’erano tutti, in verità, non li abbiamo colti). Era molto più esclusiva e sostenibile la Maiori della mia fanciullezza, quando non sentivi un accento diverso dal napoletano (e dal paganese) piuttosto che oggi, quando puoi incontrare coppie di lituani tra gli scaffali di Netto, al supermercato. Dunque? Dunque i dati. Se l’Ottocento è stato il secolo della qualità, della scarsità, dei viaggi “concessi” a pochi, il Novecento è stato il secolo della quantità, della globalizzazione, del tutto a tutti. Il lusso non è una questione di soldi, tanto li trovi sempre i cafoni arricchiti disposti a spendere. Né si può immaginare di governare il turismo di prossimità con le targhe alterne. Sarà effetto della mia cultura antiproibizionista, ma i divieti non hanno mai scoraggiato nessuno. Anzi, servono per essere fraudolentemente infranti. Il nuovo secolo ci affida un compito nuovo: fare la sintesi tra Otto e Novecento, tra quantità e qualità. Dobbiamo garantire la qualità alla quantità. Abbiamo il dovere di non lasciare nessuno indietro e contemporaneamente tutelare le risorse che abbiamo.

  • Come fare? Piccola ma significativa storia, incubata dal Politecnico di Milano, che viene dalla Piana di Sibari. Il figlio di un imprenditore agricolo ha “locato” gli alberi del suo immenso aranceto a potenziali acquirenti in tutto il mondo. Chi vuole clementine di qualità se le coltiva a distanza, raccordandosi con l’imprenditore come se fosse in loco, ne segue le stagioni, ne accetta i rischi, partecipa al raccolto, alla fine gode della bontà del suo investimento. Si può fare così anche per i luoghi del turismo. Va archiviata la parola “accoglienza” che abbiamo utilizzato per decenni. I turismi non vanno accolti. I turisti sono cittadini esattamente come i residenti, hanno doveri e diritti come a casa loro. E’ l’unico modo per attivarne responsabilità. E dunque, per venire ai casi dell’ultimo week end, chiedo: per infilarmi il costume, se mi trovassi a casa dove andrei? Evidentemente in una stanza della mia abitazione. Se vi trovate a Maiori pensate che ci siano spazi accessibili e condivisi senza dover necessariamente consumare qualcosa? Pensate che si possa andare in un bar del lungomare e chiedere ospitalità? E l’autista arrivato alle porte di Ravello dove dovrebbe trascorrere le ore afose dell’attesa? Siamo sicuri che quel sistema che “scarica” orde di turisti alle 14 e li riprende alle 19 sia la scelta migliore? Non bisogna avere paura di aprire le città, bisogna spiegare che le città nelle quali si arriva per uno, due, tre giorni, una settimana, un mese, una stagione intera, sono i nostri stessi luoghi, che danno e che ricevono, in uno scambio continuo e responsabile. Tutti insieme, centinaia di polacchi sotto il sole per le strade di Ravello non va bene. Magari possono pernottare nei b&b dei paesi a valle del Valico di Chiunzi, in una circolarità di economia a beneficio di tutti. E’ un processo complicatissimo e lungo, che comporta apparenti rinunce di sovranità. I sindaci non ce la possono fare, serve un allenatore, servono innovatori non amministratori. Ci sono però già degli esempi nel mondo, esempi di luoghi in cui si elabora il futuro del pianeta, in cui si sperimentano nuovi modello sociali. Barcellona, Torino, Pittsburgh, Instabul, Tokio, Matera, Milano, Wroclaw. Sono tutte città che hanno superato le crisi della modernità, come racconta Paolo Verri nel suo ultimo libro, “Il paradosso urbano”. La Costa d’Amalfi è uno dei luoghi più conosciuti al mondo. Diciamo che è la Chiara Ferragni dei luoghi. Ha un potere di influenza enorme. E’ necessario però che siano veicolati valori e non consumi. A partire da chi qui è nato. Quello che succede qui, l’ho detto spesso e ci credo veramente, può essere contagioso. Bisogna però sapersi relazionare con chi arriva. Non sono “gli altri” che devono sottostare a una serie di improbabili divieti. Siamo tutti noi come comunità allargata a scrivere insieme le regole che ci fanno stare bene. Apriamo le porte di casa senza chiedere oboli, vivremo tutti un po’ meglio e anche più felici.  

*giornalista

redazione
http://www.quotidianocostiera.it
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