di SALVATORE AMATO
Questa sera, alle 20.30, al termine della celebrazione in “Coena Domini” nel Duomo di Ravello, ritorna nel suo completo itinerario la processione dei Battenti, in visita agli Altari della reposizione allestiti presso le chiese parrocchiali e culminante con la traslazione del simulacro dell’Addolorata dalla chiesa di San Giovanni del Toro nell’ex Cattedrale.
La Penitenziale rappresenterebbe una delle ultime testimonianze di rituali popolari legati alla Settimana Santa, che ebbero origine in Italia nel corso del XIII secolo.
Lo stesso nome di Battenti, infatti, è una variante di quelli che definivano l’antico movimento dei Flagellanti, sorto a Perugia intorno al 1260, animato dalla predicazione dell’asceta penitente Ranieri Fasani.
Invero, la processione perugina portava in sé il ricordo dei cortei di Battuti, organizzati da S. Antonio e dai suoi compagni nel 1230, o dell’eco del grande movimento dell’Alleluja del 1233, nato in seguito alla predicazione di fra Giovanni da Vicenza.
Ranieri Fasani diede al nuovo movimento un suo preciso carattere distintivo, associando alla recita di preghiere invocanti la misericordia divina, la flagellazione che era stata già promossa dall’ XI secolo dal riformatore Pier Damiani come mezzo di purificazione e di espiazione. A questo aspetto si aggiunse il culto della persona di Cristo e la rievocazione commossa della sua passione, che costituirono i motivi fondamentali della religiosità popolare a partire dal XV secolo, in particolare per iniziativa del Frate Minore Bernardino da Siena.
La processione perugina, alla quale parteciparono uomini e donne di ogni età e condizione sociale, si inseriva anche nel clima politico del tempo, nel quale il confronto tra il Papato, l’impero degli Svevi e Manfredi, rex Siciliae dal 1258, si acuiva sempre di più. Manfredi, in particolare, aveva impedito ai Flagellanti di penetrare nel Mezzogiorno con pena di morte per i trasgressori. Solo con l’avvento angioino nel 1266, i moti processionali e penitenziali si diffusero nel Regno e nei suoi distretti amministrativi, ma nella forma istituzionalizzata dei sodalizi laicali.
Nei territori dell’antico Ducato altomedievale di Amalfi le esperienze laicali connesse al movimento dei Disciplinati si diffusero a partire dalla fine del XIII secolo. A Ravello, dagli inizi del XV secolo, risultavano già attivi due sodalizi di Disciplinati, configurati nella tipologia consortile della societas. Quello di San Michele dell’Ospedale, conosciuto dal 1435, e quello della SS. Annunziata, documentato dal 1437.
Estintesi nel corso del Seicento, anche in connessione alle nuove devozioni che avevano seguito il concilio tridentino, le pratiche delle fraternitates disciplinantium vennero verosimilmente adottate dalle confraternite che continuarono la loro azione religiosa e sociale nei secoli successivi. Tra queste, in particolare, quella del SS. Nome di Gesù, che aveva sede nell’attuale Pinacoteca del Duomo, e l’altra, della Beata Vergine del Carmine, ospitata presso la Cripta dell’ex Cattedrale.
Nel corso dell’Ottocento, il sodalizio del Gesù aveva assunto l’onere organizzativo della «commovente funzione nel mattino di ogni Venerdì Santo col trasportare processionalmente per la città il Cristo morto e la statua della madre Addolorata».
In verità il culto del corpo di Cristo era già diffuso nei secoli precedenti presso quel sodalizio, fondato nel 1490, poiché dallo statuto redatto nel 1776 si rileva la costante recita di un tipico ufficio detto ‘Coronella delle cinque piaghe di Gesù Redentore’.
La coroncina venne raccolta alla fine del XIX secolo in un manoscritto insieme ad altre invocazioni e alla nota Via Crucis di Pietro Metastasio, cantata anche oggi il Giovedì e il Venerdì Santo.
Nel caso, però, della processione dei Battenti, la componente popolare, pur nei limiti di ogni esperienza umana, potrebbe essere stata una delle cause per le quali il rituale penitenziale sia sopravvissuto anche all’estinzione dei due sodalizi laicali. A Ravello era nota, infatti, già agli inizi del Novecento, la processione detta “La Croce”, che si celebrava la sera del Giovedì Santo, sottoposta, al pari delle altre esperienze rituali, dal 1926, alla disciplina normativa del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza.
Pur tra le incertezze di una documentazione rapsodica, che per tali espressioni sconta un problema di carattere metodologico legato all’assenza, per il passato, di un vero e proprio “ente” al quale ricondurre l’annuale organizzazione del rito, riconducendone la memoria a fonti di natura memorialistica (ad esempio di monasteri, conventi e parrocchie), non escludendo, tuttavia, quelle notarili, canoniche e statali, la processione del Giovedì Santo, con una certa continuità dal Secondo dopoguerra, continua a percorrere le strade della Città, esprimendo, nel canto dei laudari, la corale e commossa partecipazione agli ultimi istanti della vita terrena di Cristo.