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La Costiera Amalfitana sempre più ‘mummificata’: troppi progetti bocciati, così aumenta l’abusivismo edilizio

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di EMILIANO AMATO

La recente installazione della pensilina sul lungomare di Minori, nel bel mezzo delle polemiche relative al progetto galleria con Maiori, richiama inevitabilmente alla necessità di comprendere meglio le modalità di gestione e visione del territorio della Costiera Amalfitana. Un territorio senza dubbio delicato, fragile dalle particolari caratteristiche orografiche e paesaggistiche, che va tutelato ma che, al contempo, non può certo rimanere imbalsamato. Per questo è quanto mai necessario un progetto di urbanizzazione generale, capace di leggere le reali esigenze della popolazione residente di chi ne fruisce.

Una premessa è d’obbligo: siamo per la tutela dell’ambiente e del paesaggio, per il pieno rispetto di leggi e regolamenti, seppur rigidi, che devono essere applicati sempre e comunque.

Nel 1997 la costiera amalfitana è entrata a fare parte del patrimonio UNESCO per la sua «sapiente antropizzazione».

Dal sito UNESCO Amalfi coast si legge: «La Costiera Amalfitana, infatti, è stata inserita tra i “Paesaggi Culturali” che l’UNESCO considera  “Patrimonio dell’Umanità” perché rappresenta “uno straordinario esempio di paesaggio mediterraneo con eccezionali valori culturali e naturali derivanti dalla sua difficile topografia e dal processo storico di adattamento compatibile operato dalla comunità, esempio brillante di uso intelligente delle risorse”».

Il valore universale della Costiera deriva quindi non da ciò che era, ma da come l’uomo l’ha «adattata», «modellata» (vedi l’unicità dei grappoli di case di Positano).

Il nostro paesaggio, quello da cartolina, tanto «instagrammato» da turisti di tutto il mondo, è frutto di trasformazioni continue, sempre finalizzate a conseguire un vantaggio (i contadini che dal Medioevo hanno realizzato le terrazze lo facevano per ricavare terra coltivabile), ma sempre compatibili e sempre caratterizzate da uno sfruttamento intelligente delle risorse locali. La molteplicità degli attori che oggi operano le trasformazioni (enti pubblici, imprenditori, cittadini) e la velocità con cui queste vengono proposte ha reso quasi mai compatibili, spesso poco intelligenti, le trasformazioni apportate. Con la conseguente necessità di difendere il territorio dagli scempi del boom economico, con vincoli rigidissimi.

Il risultato è che oggi il territorio risulta mummificato da un piano urbanistico territoriale (PUT) obsoleto, nato da un’idea progettuale della fine degli anni Settanta, e approvato con legge regionale nel 1987.

Può una legge partorita quarant’anni fa essere ancora utile alla «tutela del paesaggio»? E soprattutto in un mondo in cui si è sviluppata, soprattutto nell’ultimo ventennio, una sensibilità elevata verso la tutela dell’ambiente e del paesaggio, può una legge anacronistica favorire un corretto sviluppo del territorio?

Oggi questa legge, senza la minima attualizzazione o interpretazione, viene usata come unico testo dalla Soprintendenza dei Beni Architettonici, Paesaggistici e culturali per spegnere ogni iniziativa di sviluppo del territorio. Che siano opere pubbliche o di edilizia privata, da Palazzo Ruggi D’Aragona la risposta è la stessa: «La nostra Bibbia è il PUT».

La Soprintendenza, lo ricordiamo, è un ente preposto alla gestione del territorio che negli ultimi anni sembra essere un organismo di soppressione di qualunque intervento edilizio sia pubblico che privato (non lo dico io ma i dati annuali di ogni singolo comune).

La tendenza è il diniego alla stragrande maggioranza degli interventi proposti: dalla strada pubblica all’apertura di una finestra nei vicoli più bui dei nostri centri.

Ma anche il progetto di un nuovo bagno o di una cameretta per i figli di una normale famiglia autoctona, sempre più raro esempio di chi ha la fortuna di poter vivere ancora in una piccola abitazione di proprietà in Costiera, non (ancora) trasformata in casa vacanza. Ma anche il progetto del sindaco che chiede la copertura provvisoria, per i soli mesi invernali, del campetto comunale per consentire la pratica sportiva ai suoi giovani concittadini in paesi dove, specie d’inverno, non c’è vita sociale. No, progetti non autorizzabili perché impattanti, non rispettosi del paesaggio e decontestualizzati.

A nulla valgono gli incontri singoli a Palazzo Ruggi D’Aragona di sindaci e tecnici comunali con i dirigenti della Soprintendenza: un muro (questa sì, l’unica struttura che sembra autorizzata) eretto di fronte alle esigenze della popolazione.

Queste scelte provocano una reazione che porta (non lo scopriamo noi) all’aumento del fenomeno dell’abusivismo edilizio da parte di improvvidi speculatori con disponibilità economiche tali da sostenere anche i rischi connessi (non certo dalla famigliola onesta che aspetta di creare il bagno o la cameretta per i figli). Ed ecco – sempre all’ordine del giorno – sbancamenti in roccia, cementificazione di terrazzamenti che un tempo drenavano le acque meteoriche con tettoie o solarium con jacuzzi vista mare. Ed ecco frane, smottamenti, disastri (naturalmente il discorso molto più articolato e complesso: lo proseguiremo più avanti con l’ausilio di pareri tecnici e autorevoli).

Il presente dice che in Costiera non vengono autorizzati piccoli interventi, non invasivi, necessari per il miglioramento della vivibilità mentre si permettono opere pubbliche discutibili dal profilo paesaggistico e ambientale.

Le soluzioni? Proviamo a immaginarne qualcuna.

Di sicuro attendere dalla Regione Campania l’approvazione del già redatto piano paesaggistico provinciale. Questo consentirebbe di attualizzare il PUT permettendo di poter salvaguardare il paesaggio e gli abitanti della costiera.

La Conferenza dei sindaci della Costa d’Amalfi, con il suo attivo presidente, potrebbe già mettersi all’opera in tal senso, magari organizzando un incontro pubblico, in Regione o anche al Ministero (l’ex sindaco di Positano Michele De Lucia è consulente del ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano), presso cui far sentire la voce di un territorio d’eccellenza, imbalsamato da un ente dello Stato lontano dal territorio e chiuso nel suo palazzo.

Ben vengano le nuove soluzioni offerte dal progresso, dalle evoluzioni dell’architettura e dell’ingegneria, dalle nuove tecniche e dai moderni materiali per l’edilizia, sempre nel pieno rispetto del paesaggio delle geometrie dei luoghi. Le luci possibili in un buio oscurantismo dettato da una «moderna inquisizione paesaggistica» che ha dato il via libera ad una caccia alle streghe, che confonde la tutela del paesaggio con l’immobilismo.

Bisognerà far comprendere a chi ogni giorno sceglie per noi, per le nostre vite, per il nostro futuro, che per ogni bocciatura una macera cade, un pezzo di territorio viene abbandonato, frana, muore; un’antica costruzione che non viene adattata perde di pregio, un albergo d’eccellenza perde di competitività, ci saranno sempre più case vacanza, un cittadino sarà costretto ad abbandonare la propria terra per cercare casa altrove. Di questo (e di tanto altro) va tenuto necessariamente conto per un nuovo e consapevole piano di sviluppo territoriale della Costa d’Amalfi.

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