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Pietro ‘e Lia, il temibile brigante di Scala dalle sette vite

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Pietro Oliva di Scala è stato uno dei briganti più irriducibili dei Monti Lattari. Benché ferito cinque volte, resistette alla caccia fino al 1871. Ad aver approfondito e raccontato la sua storia è lo scrittore Sergio Mari.

Oliva, che a Scala chiamavano “Pietro ‘e Lia”, era stato il più fedele caporale di Francesco Vuolo, “Il Vettichese”, difendendolo nello scontro finale con i “dissidenti” Cesarano e Cuomo. Rimasto ferito gravemente, fu costretto a nascondersi nel suo paese natio, fidando sul silenzio e sull’omertà di parenti e amici. Lo cercavano briganti e forze dell’ordine, ma lui zitto e rattrappito in un umido scantinato dove a regnare erano i sorci. Appena guarito, però, accettò la sfida, formando una nuova banda insieme con Giovanni Guida e Giovanni Vuolo.

Quest’ultimo era appena tornato dal domicilio coatto, ma non era della tempra del fratello e, infatti, tradì subito i compagni, conducendo i carabinieri fino al covo e aprendo per primo il fuoco. Oliva riuscì a mettersi in salvo e durante la latitanza non se ne stette tranquillo, commettendo, anzi, un’impressionante serie di sequestri di persona, che stremarono i possidenti della Costiera amalfitana.

Il 12 giugno 1866, però, i Carabinieri lo incastrarono sul Valico di Chiunzi credendo di potergli saldare il conto.

Ma il brigante confermò di avere sette vite, sfuggendo alla cattura nonostante una grave ferita al braccio. Anche nel giugno dell’anno successivo, inseguito e ferito da una pattuglia, riuscì a inoltrarsi nella boscaglia di Agerola e a non farsi prendere. In seguito ai delittuosi eventi si aggiunse, ai reparti stazionanti in ogni frazione, un altro dislocato sulla montagna, in località Santa Maria dei Monti. Ormai, sui Lattari, le forze dell’ordine cercavano solo lui e, a metà dicembre, sembrò che potessero averlo di nuovo in pugno. La banda fu circondata, ma ad essere catturato fu solo Antonio Palermo, il fedele luogotenente di Oliva. Con una successiva retata finirono in manette quasi tutti i manutengoli e le donnine che salivano in montagna per sollevare il morale dei briganti, ma nessuno seppe (o volle) dare indicazioni utili alla cattura del capobanda.

Lo smacco più grande Pietro ‘e Lia lo inflisse ai suoi segugi in occasione delle nozze della sua primogenita. Fu un matrimonio eclatante. Lo sposo era un giovane commerciante di Gragnano, appartenente a una famiglia mai implicata con briganti e malavitosi e Oliva era così fiero che la sua bambina si imparentasse con gente di rango, che le donò la bella somma di 4225 lire in monete d’oro.

La polizia tentò di sequestrare il danaro, ma non ci fu niente da fare perché il giudice non concesse l’autorizzazione. Allora, ben sapendo che il capobanda per niente al mondo sarebbe mancato all’avvenimento, un nugolo di poliziotti in borghese sorvegliò il rito nuziale in chiesa mentre altri si mischiarono tra gli invitati del banchetto nella speranza di sorprendere il ricercato. Ma non riuscirono a individuarlo. O Pietro Oliva si era travestito alla perfezione oppure, cosa probabile, aveva fatto circolare un bel po’ di soldi tra i poliziotti affinchè non disturbassero la festa della sua vita. Braccato da centinaia di uomini in divisa, spiato dai confidenti della polizia, tallonato dai cacciatori di taglie, privato della sua druda, Raffaella Apuzzo, il latitante rifiutò di arrendersi, benché il nuovo prefetto Righetti gli facesse pervenire messaggi promettendo l’incolumità e pene più miti in caso di presentazione spontanea.

Il sindaco di Vico Equense, Don Cesare Aiello, fece sapere che avrebbe premiato con cinquemila lire chi avesse consegnato Oliva o fornito notizie per la sua cattura. L’appello cadde nel vuoto e nel settembre del 1870 il fuorilegge di Scala scatenò la sua grande controffensiva, sequestrando il vicepretore Francesco Saverio Liguori e facendo assassinare brutalmente il ricco possidente di Pogerola don Francesco Paolillo. Furono segnali forti. Dopo aver incassato seimila lire del riscatto del magistrato, Pietro Oliva decise di concedersi, finalmente, una pausa. Ricomparve in una fugace sparatoria con i carabinieri presso Casola e rimase ferito a una spalla.

Nonostante la debilitazione, anche stavolta riuscì a sottrarsi alla cattura, rifugiandosi nel suo paese, dove per giorni rimase nascosto sotto una grossa catasta di legna nel giardino di un suo parente. In marzo fu segnalato nei dintorni di Gragnano. Appariva stanco, sfiduciato e privo dell’abituale sicurezza e ai più intimi manifestò il desiderio di espatriare in America e ricominciare una vita pulita e più sicura. Ma una mano ignota gli sparò una fucilata alla schiena, uccidendolo prima che potesse realizzare il suo progetto.

Il corpo di Pietro ‘e Lia fu recuperato sul Monte della Lopa dal delegato di Gragnano, De Angelis, su indicazione del confidente Martino Naclerio. Questi, alla domanda dei poliziotti su chi avesse premuto il grilletto, si strinse nelle spalle. C’è chi raccontò che il capobanda Oliva fu assassinato dai suoi stessi seguaci.

La fine del temibile brigante cancellò le apprensioni di un’intera popolazione, quando il cadavere di Oliva fu trasportato in piazza San Lazzaro, ad Agerola, e venne riconosciuto dai cittadini e dal sottoprefetto di Castellammare.

redazione
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