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Amalfi

L’antica chiesa di Sant’Angelo dell’Ospedale a Ravello

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di SALVATORE AMATO

La chiesa di Sant’Angelo dell’Ospedale, edificata nella località ‘Pianello’, sotto la torre di Grado, era il luogo di culto annesso al medievale nosocomio cittadino, fondato tra XI e XII secolo dalla nobile famiglia dei Frezza. La notizia è riferita da Matteo Camera, cui si devono pure le informazioni sull’organizzazione dell’ente caritatevole, dotato di otto posti letto e governato da un priore.

L’intitolazione della chiesa ravellese all’Angelo derivava, inoltre, dalla conformazione morfologica del sito, inserito in una grotta, seguendo una tipologia insediativa molto ricorrente nel Mezzogiorno longobardo e greco-bizantino dove, dal VII secolo, cominciavano ad infittirsi le dedicazioni micaeliche sulle alture, presso sorgenti d’acqua o nelle cavità dei monti. Lo confermerebbero, per Ravello, almeno altri tre luoghi di culto documentati a partire dall’XI secolo: San Michele Arcangelo in ‘Tirrinio’ nel luogo Forcella (1033), Sant’Angelo di ‘Ponticeto’ (1039) e San Michele Arcangelo nella località ‘Peperone’ del monte Cerreto (1096). Ad essi, ovviamente, si aggiunge anche la chiesa del casale di Torello, conosciuta dal 1128, nel testamento di Giovanni, figlio di Sergio Rufolo, che gli legava una croce d’argento dorata.

Come che sia l’origine della primitiva chiesa dell’Ospedale, il complesso era destinato a subire alcune rilevanti trasformazioni, nei primi decenni del XV secolo, per l’insediamento della confraternita dei Disciplinati e la conseguente costruzione di un altro edificio di culto.

Tale nuova configurazione del complesso risulterà con maggiori dettagli, dagli anni settanta del XVI secolo, nei verbali delle Visite che i vescovi di Ravello effettuavano con cadenza più o meno puntuale a chiese, cappelle, monasteri e confraternite del territorio cittadino.

Dalla Visita Pastorale del 15 novembre 1577 sappiamo, ad esempio, che la chiesa di Sant’Angelo dell’Ospedale era di patronato di Cesare, Andrea e Decio Frezza, quest’ultimo figlio dell’insigne giurista Marino. Nell’altare maggiore si trovava l’affresco della Vergine Maria ‘de fabrica’ coperto da un antico panno; in quello superiore un’immagine antica di Sant’Angelo; risultavano spogli gli altri altari e quello retrostante all’altare maggiore. Vi si celebrava la festa dell’Apparizione di San Michele Arcangelo, nel giorno 8 maggio, e una messa alla settimana per l’anima dei fondatori.

Agli inizi del XVII secolo, il nuovo cappellano, Francesco Frezza, ottenne la facoltà di poter celebrare le messe gravanti sul beneficio nella vicina chiesa di Santa Maria del Carmine, da lui fondata, e consacrata nel luglio 1604 dal vescovo Francesco Benni. Il motivo del trasferimento delle celebrazioni era dovuto all’estrema umidità di Sant’Angelo, derivante dalla sua ubicazione in una grotta, nella quale scorreva continuamente acqua. Dopo qualche anno, il nuovo cappellano Domenico Frezza, pur essendo dispensato dall’obbligo di celebrare unicamente nella chiesa del Carmine, continuava nell’uso concesso al suo predecessore, giustificandosi, nel 1617, con la consueta motivazione dell’umidità di Sant’Angelo. Il vescovo Michele Bonsi, però, lo obbligava ad adempiere al suo dovere di beneficiato, ordinandogli di celebrare nella confinante chiesa confraternale, e di provvedere a rifornire di paramenti e suppellettili quella dell’Ospedale, affinché non fosse destituita.

Le precarie condizioni dell’intero complesso, che minacciava di crollare, come risulta dalla Visita Pastorale del 1643, ripristinarono l’antico uso di trasferire gli oneri di messa e di festa nella chiesa del Carmine. Per motivi di sicurezza il vescovo Bernardino Panicola ordinava di realizzare una porta e di tenerla ben chiusa. Lo stesso presule concedeva alla confinante confraternita di Sant’Angelo l’uso dell’atrio colonnato, che precedeva la chiesa, perché i deputati del sodalizio potessero riparare il muro di sinistra dell’edificio. Ad aggravare le condizioni della chiesa, alla metà del XVII secolo, era stato il sorgere di alcune piante sull’astraco, che, nei giorni piovosi, ne avevano causato l’allagamento.

Tra XVIII e XIX secolo, la cura spirituale del luogo era passata al parroco pro tempore di Santa Maria del Lacco, come risulta da una relazione fornita nel 1811, che confermava la presenza di un affresco della Vergine, intitolato “La Madonna dell’Ospedale”, di cui si ignorava l’autore, e riferiva dell’esistenza di una statua a mezzo busto della Madonna della Grazie. Intorno della metà del XIX secolo, a seguito degli interventi di restauro con cui l’affresco della Vergine era trasferito dal fondo della grotta al nuovo altare maggiore, l’intitolazione della chiesa mutava in quella di Madonna dell’Ospedale. Vi scorreva, inoltre, una piccola sorgente d’acqua che si riversava in una cisterna ‘con la bocca quasi nel centro della chiesa’. Alla fine dell’Ottocento, il luogo di culto, pur risultando liturgicamente ben tenuto, necessitava di molte urgenti riparazioni, per cui l’Arcivescovo di Amalfi, Enrico De Dominicis, il 2 dicembre 1895, ne ordinava l’interdizione «fino a che non sarà rimossa l’umidità che si estende per ogni dove e l’ha oltremodo deturpata».

Nonostante l’annoso e continuo problema derivante dalla conformazione morfologica del sito, il complesso dell’antico ospedale suscitava sempre più curiosità, al punto che l’estensore della I Visita Pastorale effettuata in territorio ravellese dall’Arcivescovo Ercolano Marini, nel luglio 1916, poteva scrivere: «è di una grande originalità, a stile gotico, ha un solo altare, nell’adiacente giardino sono i ruderi dell’antico ospedale. Quante grandezze cadute sotto il piccone del tempo!».

Curiosità che suggestionavano anche il celebre M. C. Escher, che raffigurava l’interno della chiesa in una xilografia del 1932. Negli anni Settanta del Novecento, il monumento era oggetto di attenzione da parte della comunità scientifica attraverso studi speleologici e storico-architettonici, pubblicati con l’auspicio che esso fosse «degnamente restaurato e protetto in maniera da poterlo far conoscere a quanti amano ripercorrere le tracce dell’arte nel passato dell’umanità». In anni più recenti, invero, è stato prospettato, a più riprese, da parte della Parrocchia S. Maria Assunta e dall’Associazione “Ravello Nostra” un articolato progetto di restauro del complesso architettonico, accompagnato da una quanto mai reiterata azione finalizzata a liberare lo spazio antistante da impropri elementi di ingombro. Ora in attesa del pur auspicato contributo finanziario, il Sodalizio ha deciso di rivolgere l’attenzione all’affresco della Madonna con Bambino, datato dal Caffaro agli inizi del Quattrocento, e oggetto di particolare devozione alla fine del XIX secolo. All’immagine della Vergine, come ha scritto Mario Schiavo, ci si rivolgeva, nel giorno dei Morti, per affidarne le anime purganti, mentre gli anfratti rischiarati dai lumini offrivano la scena alla lunga teoria di Requiem, intervallata dal triste adagio tanto caro alla pietà popolare: «Quelle figlie e quelle spose, che sono tanto tormentate: O Gesù che voi l’amate, Consolatele per pietà».

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