di Antonio Schiavo
Ma che fine ha fatto la contr’ora di una volta?
Oggi, in qualsiasi momento della giornata vedi ragazzi e perfino bambini in giro per le vie e le piazze di Ravello. Mattina, pomeriggio, notte….
Quando eravamo piccoli noi, il dopopranzo estivo, ad esempio, era off – limits. Non si poteva uscire perché, per strada,”ballavano ‘e sierpe”. I rettili in questione, a quell’ora probabilmente a tutto pensavano fuorchè dedicarsi ad un hully gully in piazza, però quella asserzione dei nostri genitori equivaleva ad un diktat.
Dopo mangiato, dovevi andare a riposare!
Se ci pensate bene, se oggi andate a dire una cosa del genere ai vostri figli oppure formulare loro anche l’altro comandamento dello speciale catechismo genitoriale secondo cui non si poteva andare al mare prima del 24 giugno perché solo a San Giovanni scendeva, nelle acque, “‘a trave ‘e fuoco”, quale potrebbe essere la loro reazione?
Nella migliore delle ipotesi vi inviterebbero coloritamente a visitare lidi lontani o a liberare l’intestino.
Allora, invece,muti e in branda!
Anche questi canoni, però, corrispondevano in fin dei conti a quella pazza stagione dell’anno che …chiamavano Estate.
E, quando arrivava, si doveva compiere un altro rito: la corsa all’acquisto degli zoccoli.
In realtà, più che calzature, erano uno strumento che avrebbe mandato in tilt qualsiasi rilevatore di inquinamento acustico. Quei pezzi di legno, sovrastati da una fascia di spugna, praticamente senza suola né gomma, scuotevano (specie se consumati)i condotti uditivi con un “clac clac” persistente che si accentuava se i proprietari delle estremità zoccolate si producevano in gare di discesa veloce per le scale di cui Ravello è piena.
Quel rumore era, però, il pretesto per finirla con quella palla di riposo post-prandiale, ormai irrimediabilmente disturbato, glorificando, per questo, i due rivenditori autorizzati di zoccoli: Don Giovanni al bivio di Castiglione e, in paese, Papela.
Papela era alta (si fa per dire) appena più del bancone. Con la sorella Nannina conduceva un piccolo emporio ubicato dove adesso c’è “Il Negozietto”, vicino al portico per San Francesco.
Il negozio era pieno (anche qui si fa per dire) di granaglie, mangimi, “scapezzone” da un lato e, dall’altro, qualche detersivo (Vel, Kop, Ava con le figurine delle prime raccolte punti) sulle stesse mensole del “Flit” e del DDT.
Al centro, in una vetrinetta, sì e no, dieci chili di pane, qualche busta di taralli e pane biscottato. Sul banco tre contenitori in vetro:uno con i formaggini e le monete di cioccolato,un altro con i “sciù sciù” (gommose zuccherate ai vari gusti) e un terzo con caramelline multicolori da una lira.
Noi, perfidamente, confidando sul calo di capacità mnemonica della povera Papela, arrivavamo in negozio con venti lire, la “aiutavamo”a contare le caramelline portandocene via quasi il doppio. E i famosi zoccoli in bella mostra, agganciati ad un anta della porta a ricordarci,semmai ce ne fosse stato bisogno, che un’altra Estate era arrivata.