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Il saluto fascista è reato, ma non per le commemorazioni. La sentenza della Cassazione

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Il saluto romano e la chiamata del ‘presente’ sono “un rituale evocativo della gestualità propria del disciolto partito fascista” che dunque “integra il delitto previsto dall’articolo 5 della legge Scelba” laddove, “avuto riguardo a tutte le circostanze del caso, sia idonea a integrare il concreto pericolo di riorganizzazione del disciolto partito fascista”.

E’ quanto hanno cristallizzato le Sezioni Unite della Cassazione che erano chiamate a sciogliere il nodo del saluto fascista – dopo una serie di sentenze della stessa Corte che andavano in direzioni diverse – in relazione ad una vicenda dell’aprile del 2016 ed avvenuta a Milano nel corso di una commemorazione di Sergio Ramelli, Carlo Borsani ed Enrico Pedenovi. Una decisione accolta con “rispettoso riconoscimento” da fonti vicine al presidente del Senato Ignazio La Russa, che proprio sul tema attendeva “con interesse” la posizione delle sezioni unite perché riteneva “occorresse chiarezza”.

La Suprema Corte, dopo tre ore di camera di consiglio, ha quindi disposto un nuovo processo di appello per gli 8 imputati che erano stati assolti in primo grado ma poi condannati dai giudici in secondo. Non accolta la richiesta del pg che, nel chiedere la conferma della condanna, ha sostenuto che “il saluto fascista rientra nel perimetro punitivo della legge Mancino quando realizza un pericolo concreto per l’ordine pubblico”. I giudici del palazzaccio non escludono però del tutto il richiamo a quest’ultima legge.

“A determinate condizioni – affermano infatti – può configurarsi” anche la violazione della legge Mancino che vieta “manifestazioni esteriori proprie o usuali di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi che hanno tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi”. Dunque “i due delitti possono concorrere sia materialmente che formalmente in presenza dei presupposti di legge”. Le Sezioni Unite, in attesa delle motivazioni che chiariranno ulteriormente la sentenza, hanno quindi “riqualificato” i fatti ai sensi della legge approvata nel 1952 e in particolare nell’articolo in cui si afferma che “chiunque, partecipando a pubbliche riunioni, compie manifestazioni usuali del disciolto partito fascista ovvero di organizzazioni naziste è punito con la pena della reclusione sino a tre anni e con una multa”. La sentenza impugnata finita all’attenzione degli Ermellini aveva ritenuto che i fatti contestati integrassero la fattispecie della legge Mancino.

Le Sezioni Unite ora chiedono alla Corte di appello di Milano di verificare “se dai fatti accertati sia conseguita la sussistenza del concreto pericolo di riorganizzazione del disciolto partito fascista”. Su quanto deciso tagliano corto le difese, per le quale la Cassazione ha stabilito ieri “che il saluto romano non è reato”. “Se mancano sia il tentativo di ricostituzione del partito fascista o programmi di discriminazione ovviamente non è reato – afferma l’avvocato Domenico Di Tullio -. La cerimonia del ‘presente’ quindi si può fare solo quando è un atto commemorativo come nel caso specifico. Nel caso di Acca Larentia e nelle migliaia di commemorazione fatte in Italia negli ultimi 70 anni, il saluto romano non è reato. Toccherà alla magistratura dimostrare in concreto il contrario, senza fare chiacchiere”.

redazione
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